È nella Grande Guerra che si afferma, in Italia e all’estero, il ‹mito› dell’‹asso da caccia›, un mito che modella l’immaginario collettivo e si mantiene inalterato nel primo dopoguerra. Il pilota audace e senza paura trova in Gabriele D’Annunzio e in Francesco Baracca il suo archetipo. Rispetto ai soldati che vivono, nelle trincee, la cruda realtà della ‹guerra totale›, l’aviatore che si libra nei cieli sembra un ‹cavaliere alato›. Seppur a bordo di una macchina, combattere tra le nubi affrontando il nemico in acrobazie e in duelli spericolati significa per molti piloti riappropriarsi di una dimensione più ‹umana›, romantica e nobile, della guerra. In verità, la morte che attende il pilota in caso di abbattimento, imprigionato tra le fiamme del suo apparecchio, ha ben poco di eroico.